Perdite da capogiro, operazioni discutibili, crediti in forte sofferenza, consulenze milionarie inutili, prestiti e mutui concessi spesso agli amici degli amici senza le necessarie garanzie, sono questi gli elementi che fanno da denominatore comune alla crisi bancaria che coinvolge da anni diversi istituti di piccola e media dimensione e con un forte radicamento sul territorio. Ben 132.000 piccoli azionisti hanno visto i loro titoli trasformarsi in carta straccia: 60.000 sono di Banca Etruria, 44.000 di Banca Marche, 22.000 quelli di CariFerrara e 6.000 di CariChieti. In dettaglio, i sottoscrittori di bond subordinati delle quattro banche hanno perso quasi 800 milioni di euro a seguito del decreto salva banche del Governo. Secondo un comunicato delle principali associazioni di consumatori “A essere stati travolti da questa operazione sono comuni cittadini, piccoli risparmiatori, che sono stati indotti ad acquistare prodotti a rischio elevatissimo in maniera del tutto inconsapevole, addirittura in alcuni casi convertendo i propri conti correnti in obbligazioni illiquide”. Obbligazioni subordinate che offrivano un interesse lordo annuo medio del 3,5%, interesse che al momento della sottoscrizione (2010-2013) era concesso per strumenti molto meno pericolosi da quasi tutte le banche. Nessuna speculazione, insomma, da parte dei clienti sottoscrittori!
Diciamolo subito, non è un fulmine a ciel sereno! Ognuna delle quattro banche è in odor di “fallimento” da almeno tre anni, ma questo non ha impedito agli amministratori di continuare a elargire consulenze e premi di risultato milionari e di offrire al mercato strumenti finanziari a interessi troppo bassi per il rischio che chi sottoscriveva doveva sopportare. Ma com’è potuto succedere? Com’è possibile che nessuno si sia accorto di niente? Che fine hanno fatto i controlli interni alla banca, e quelli esterni di Banca d’Italia e Consob? Chi doveva vigilare che cosa ha fatto? Era compito dei risparmiatori di informarsi su cosa sottoscrivevano o era compito di chi vigilava impedire alle banche di emettere strumenti a dir poco pericolosi visto lo stato d’insolvenza delle stesse? O forse entrambi? E’ corretto che a pagare sia chi ha sottoscritto obbligazioni subordinate prima che anche queste fossero ricomprese per legge (bail in) tra gli strumenti finanziari a rischio in caso d’insolvenza della banca o era più giusto prevedere un periodo ponte a tutela dei vecchi sottoscrittori? Troppi quesiti e ombre che non hanno ancora risposte intorno ad una vicenda già poca chiara che, come se non bastasse, coinvolge direttamente anche esponenti del Governo.
Adesso chi è preposto a controllare lo faccia senza guardare in faccia nessuno e si proceda velocemente a riformare, così come fatto per le banche popolari, il sistema del credito cooperativo. Non vorremo ritrovarci da qui a qualche mese a commentare l’ennesimo disastro finanziario pagato, tra l’altro, solo dai risparmiatori.
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